Namibia - riflessienatura

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NAMIBIA E IL NAMIB DESERT
25 Aprile – 11 Maggio 2009




"Il rosso Sole segna la fine di un altro giorno, mentre i nostri occhi ammirano il susseguirsi dei colori di questa splendida terra chiamata: Africa!"

Una superficie semi triangolare situata nella parte sud-ovest dell’Africa, con un prolungamento stretto e irregolare a nord est appellato Caprivi, (frutto dell’occupazione tedesca per crearsi uno sbocco sul fiume Zambesi), bagnata  per metà dalle fredde acque dell’ Oceano Atlantico, e che si è da poco conquistata il titolo di Repubblica, questa è la Namibia, dove io e mio marito abbiamo scelto di trascorrere la nostra Luna di Miele, accompagnati da altri otto sconosciuti  che a fine viaggio chiameremo Amici.

L’ARRIVO

La nostra avventura inizia all’aeroporto di Roma dove, dopo aver fatto le presentazioni con il capogruppo, sua moglie e una parte dei compagni di viaggio, voliamo fino alla capitale namibiana Windhoek, lasciandoci alle spalle grigie nuvole di pioggia  e trovando a darci il benvenuto un sole intenso e un cielo limpido e azzurro indescrivibile.
Recuperati i mezzi 4X4 e la moneta locale, andiamo a fare i primi rifornimenti viveri, ma il viaggio è già iniziato e non ci lasciamo sfuggire una veloce visita nel parco di Dastbrockfarm, che si trova a circa 45 minuti dal centro di Windhoek e  ci fa (as)saggiare già un po’ di polvere rossa, mentre giungiamo al recinto della Melrose Farm dove leopardi e ghepardi vivono in semi libertà per farsi ammirare dai visitatori di passaggio.
La sera, davanti ad una birra ed un’ottima carne arrostita di Joe’s, ci riuniamo anche all’ultimo compagno di avventura.
Il gruppo è fin da subito il nostro punto di forza, ognuno di noi porta un po’ di se agli altri completandoci in un cerchio perfetto che ci farà affrontare i nostri oltre 4600 km in serenità e totale collaborazione.


IL NAMIB DESERT

E’ l’alba del vero primo giorno, nessuno sgarra l’orario di colazione stabilito dal capogruppo e dopo aver caricato le nostre auto, con l’adrenalina addosso, lasciamo finalmente la civiltà di Windhoek per immergerci nella  vera Namibia. Lasciamo la strada asfaltata e iniziamo quasi subito a viaggiare fra terra e granito in direzione sud puntando su Sesriem, la nostra prima meta, mentre ci scorrono davanti sconfinati paesaggi senza incontrare anima viva.
Sulla via ci fermiamo per una breve escursione nel Sesriem Canyon che ci dà l’occasione di sciogliere un po’ le gambe in una  passeggiata fra le gole granitiche scavate dal torrente, mentre dei simpatici babbuini ci osservano dall’alto.
Ripartiamo con gli occhi fissi sulle dune rosse che si scagliano all’orizzonte iniziando una lotta contro il tempo per attraversare il gate del Namib-Naukluft national park, prima del calar del sole.
Scaliamo una delle prime dune rosse incontrate per gustarci il tramonto da lassù, i più veloci arrivano alla vetta pronti a immortalare scatti sulla stella infuocata, altri si godono semplicemente l’Africa. Sabbia granulosa, cielo azzurro  indescrivibile e un leggero vento che pareggia le nostre impronte che violano le antiche creste namibiane.



Il giorno dopo ci aspetta poca strada per raggiungere Sossusvlei e finalmente ecco la Duna 45, la più famosa e fotografata, e poco più avanti la duna più alta al mondo. Il sole è alto nel cielo e fa sentire tutto il suo calore, mentre la sabbia  si mangia i nostri passi affaticati, giungiamo, chi prima chi dopo, sudati, ma soddisfatti, al Deathulei con il suo pan e i suoi rami secchi.
Ripartiamo con il sole cuocente e la sabbia che pare diventata più fine del borotalco, si rifiuta di lasciarci andare: la nostra 4x4 si insabbia! Scendiamo e proviamo ad alleggerire il peso, il nostro compagno al volante, tenta di ripartire, qualcuno  di noi da una spinta, poco convinti in quanto la situazione ci fa sorridere e deconcentrare. La scocca dell’auto ormai "galleggia" sul rosso Namib.  Nel frattempo torna indietro anche l’altra macchina ed gli uomini iniziano a spalare a turno sotto circa 42 gradi di sole a picco sulla testa! Finalmente la sabbia sotto l’auto sembra sia stata tutta spalata via, è giunto il momento di provare e dopo aver posizionato i binari sotto le ruote, senza esitare, il nostro mitico autista tira fuori il mezzo dalla sabbia. Sulla strada del rientro al camp incontriamo un branco di bellissimi Orici, simbolo della Namibia, che passeggiano in piena libertà con uno sfondo naturale fatto di arbusti verde muschio e dune albicocca su cui riflette il sole ormai basso all’orizzonte interminabile. Montiamo le tende a Sesriem, in un’area molto accogliente e ci prepariamo per la cena con una fresca e meritata birra sudafricana. La via lattea ben visibile, divide in due il limpido cielo sopra le nostre teste e ci accompagna fino ad addormentarci.




Sveglia presto e riprendiamo la nostra strada puntando sulla costa per una tappa obbligatoria a Walvis bay, una delle poche aree non finite sotto colonia tedesca, damosa per i fenicotteri rosa, dove ne troviamo però solo una manciata insieme ad altri  volatili più conosciuti. Pochi minuti e pochi km di strada e giungiamo alla ridente cittadini di Swakopmund dove ritorna inconfondibile la presenza teutonica e dove, a mio parere,  è del tutto assente il profumo d’Africa.
Decidiamo di occupare un paio di ore del nostro tempo sperimentando la guida dei quod sul deserto del Namib, fino ad arrivare quasi sull’oceano. Un’esperienza unica fatta di salti veloci e Sali scendi sulla sabbia, unita ha risate e profumo  di libertà. Approfittando del soggiorno nella guesthouse, facciamo rifornimenti di acqua e viveri e dopo una rinfrescante doccia e un po’ di shopping, concludiamo con una bella cena a base di birra e carne alla griglia.


LA SKELETON COAST E LO SPITZCOPPE

Dal mare sale un grigio in cielo degno da film horror mentre alle nostre spalle l’azzurro è sempre lì al suo posto.
Niente da temere sono solo i vapori causati dall’incontro del caldo e arido deserto con il freddo Atlantico, che creano una particolare corrente, ancora oggi temuta da pescherecci e navi, questa è la Skeleton Coast . Iniziamo il nostro percorso,  nel welwisktia drive, costeggiando l’oceano fra rari licheni e la Moon Valley, la più ammirata è la Welwisktia mirabilis, pianta millenaria dall’aspetto assai bizzarro, come la sua forza di adattarsi ad un clima così sterile di  piogge.
Le ore corrono e il tragitto per arrivare alla meta prefissata è lungo, ma non ci lasciamo scappare l’occasione di proseguire ancora lungo la Skeleton Coast con il suo suggestivo paesaggio piratesco, incontrando così anche un paio di relitti,  uno alquanto recente mentre dell’altro si riesce ad individuare a malapena una parte del timone e dell’ancora che affiorano dal bagno asciuga.




Iniziamo i nostri km velocemente puntando sul "Cervino della Namibia" lo SpitzKoppe. Una curiosa conformazione di granito rosso che spunta all’improvviso dalla pianura e si erge con la sua forma che ci ricorda il nostro Cervino per ben 1728m con  il suo Grott SpitzKoppe, la vetta più alta. La sorte vuole che arriviamo proprio al tramonto e un iride di colori rossi impensabili si interseca con il rosso granito della cima, in uno dei più bei e indimenticabili tramonti che abbia mai visto. La stagione non è certo nel pieno del turismo (se così si può parlare della Namibia) e campeggiamo sotto un lato del monte in piena liberta selvaggi, felici e incantati da quello che ci circonda.
Alle prime luci dell’alba intraprendiamo una breve scalata, piccola salita ripida coadiuvati da una ferrata installata fissa e via ad ammirare da vicino il rosso granito e i particolari alberi di Faretra.
Arriva anche per oggi il momento di proseguire e puntiamo su Cape Cross e la colonia di Otarie, una delle più grandi della west coast africana, oggi protette, un tempo si dovevano guardar bene dai pescatori che uccidevano senza pietà il loro concorrente  numero uno per la pesca.
Simpatici animali, dai neri occhioni tondi, sembrano un grosso gregge sia per i loro richiami belanti, sia per un mix di odore, di pesce, escrementi e carcasse morte. L’impatto è rivoltante, ma dopo un po’ si inizia a sopportare pur di  guardare quella macchia di sabbia e mare completamente ricoperta da Otarie, uno spettacolo unico, che ci accompagna mentre risaliamo in macchina puntando sul famoso cancello con i Teschi, che segna il passaggio della Skeleton Coast, dove immancabilmente  immortaliamo le nostre figure con le macchine fotografiche.


IL POPOLO HIMBA

Il percorso che ci attende per arrivare alla nostra meta è molto lungo ed iniziamo una corsa contro il tempo, con i nostri autisti messi alla prova da ore di strada sterrata. Il sole sta calando mentre sul nostro percorso incontriamo una donna Himba  con dei bambini ed un mulo che in cambio di poco zucchero ci permette di farle qualche foto al suo volto sorridente, più avanti una donna Herero non si accontenta dello zucchero e ci chiede moneta per farsi immortalare dai nostri obiettivi. Finalmente  dopo ore di polvere, giungiamo ad un piccolo agglomerato di edifici e capanne, sfuggiti al primo campeggio che ci sembrava alquanto "criminale" e pure al secondo che al contrario sembrava un mega resort da sceicchi, troviamo la giusta sistemazione e sotto  un enorme acacia ci facciamo una fantastica grigliata, immersi nella selvaggia ed accogliente natura.
Le ore di sonno sono più brevi del solito , mentre oggi il viaggio ci porta in direzione Twyfelfontain, dove visiteremo velocemente i petroglifi e la foresta pietrificata accompagnati da una guida Damara.
Proseguiamo puntando ai confini della Namibia, dove il fiume Kunene la divide dall’Angola. Il sole, che non ci ha mai abbandonato, inizia a baciare paesaggi più verdi e lussureggianti, ci stiamo avvicinando all’Epupa Falls e al territorio  dove ancora vive il popolo Himba.
Il camping è molto accogliente, dormiamo sotto palme alte alcuni metri e l’enorme fiume kunene che scorre veloce e pieno di acqua ci ricorda che fino a poche settimane prima il sole era coperto e grigie nuvole scaricavano piogge torrenziali.
Con il gruppo ci accordiamo di passare il nostro giorno jolly in pieno relax sotto le palme così da sistemare zaini e vestiti. Nel pomeriggio con una breve escursione seguiamo il corso del fiume e l’aumentare del suono dello scroscio dell’acqua significa solo una cosa: le cascate sono ormai vicine. Da piccoli rivoli si ingigantiscono gettandosi, con una potenza impressionante,  in una gola profonda creando arcobaleni e nuvole acquose. Di lato un baobab enorme mi colpisce per la sua testardaggine  nello stare lì attaccato in bilico, fra roccia, precipizio e acque impetuose.



Uno scenario imperdibile e per un attimo ti lasci cullare solo dal rumore dell’acqua e dalle nuvole di goccioline che ti bagnano il volto, creando un leggero sollievo dal caldo.
La mattina sveglia ad un’ora tranquilla e dopo aver offerto la colazione anche alla nostra guida ci avviamo insieme verso i villaggi Himba. Finalmente andremo a vedere da vicino l’etnia che ha mantenuto intatte le tradizioni per tre secoli  e che per fortuna ancora oggi vive, nonostante intorno loro l’era del consumismo avanzi.
La nostra guida è di origine Himba, lo si riconosce per i denti davanti spaccati, tipici negli uomini adulti, lui porterà al capo villaggio la richiesta di visita da parte di stranieri, in cambio di piccoli doni, per i quali noi abbiamo perso il  senso dell’importanza. Il capo villaggio accorda il nostro ingresso e entriamo in punta di piedi cercando di non "attaccare" immediatamente con l’uso di macchine fotografiche e telecamere.
Andiamo vicino ai bambini, i più spontanei e curiosi, gli diamo qualche biscotto e loro aspettano, con quella che noi chiamiamo educazione, a mano aperta senza pretendere.
Le femmine anziane più in disparte preparano il burro dal latte appena munto per poi mischiarlo con la terra rossa e creare quel cosmetico naturale che le donne si cospargono su corpo e capelli, una loro antica rituale giornaliero che solo le donne  adulte hanno il permesso di fare. I maschi adulti sono fuori a caccia.
Sono curiosi dei nostri apparecchi fotografici e mentre una donna che si vede ritratta nel display della macchina digitale subito si sistema i capelli, i bambini si divertono e fanno grossi sorrisi dai denti bianchissimi. Una foto rivista in seguito sarà  la cosa più bella di questo poco tempo, ma fantastico, trascorso con loro: un primo piano di un bambino in cui mi vedo riflessa negli occhi mentre gli scatto la foto. Due mondi a confronto che si scambiano immagini. Chissà se lui ripenserà a  quella donna con quello strano apparecchio in mano. Io ai suoi occhi penso spesso.


ETOSHA NATIONAL PARK

Siamo a più di metà del percorso e con un giorno di sosta nel piacevole Kunena camp, dove alcuni di noi si cimentano della canoa ed altri osservano i dintorni, ci dirigiamo ad affrontare l’ultima parte del nostro viaggio che si svolgerà  nell Etosha National Park.
Accediamo al parco dall’entrata nord e Namutoni è il nostro camp per la sosta, da dove inizieremo i nostri primi game drive. Non è la prima volta in Africa, ma ogni volta è un’emozione forte e ben conosciuta, quella che poi si trasformerà  in mal d’Africa quando ne sarò lontana. Il parco dell’Etosha si estende per circa 20000 Km quadrati, ben organizzati , dove pozze naturali ed artificiali fanno da contorno ad un enorme pan salato centrale.



Eleganti giraffe spuntano curiose da sopra gli alberi, degli impala si rilassano stesi in mezzo all’erba, delle zebre così uguali, ma ognuna così diversa dalle altre per le sue righe uniche, si rincorrono davanti e di lato le nostre auto.
Non mancheremo di vedere anche un ghepardo a riposo e diversi leoni sonnecchianti, mimetizzati nella savana. Tutte e tre i camp, Namutoni, Halali e Okaukelo, sono attrezzati di una "pool" artificiale dove sia di giorno che di notte sono meta di molte specie che vengono ad abbeverarsi. Abbiamo così la possibilità di osservare un elefante mentre esegue il suo show a distanze ravvicinate, una coppia di timidi rinoceronti in notturna, un leone ruggire contro un branco di sciacalli ed un enorme e imponente kudu maschio controllare  le sue femmine. Interessante anche gli avvistamenti per il birdwatching.



Le nostre serate di gruppo sono sempre più spensierate ed affiatate. L’Etosha era la conclusione e lasciato l’Okaukeio camp, la strada si fa presto asfaltata, sostituendosi alla selvaggia terrosa, catapultandoci nella civiltà, come  quando vieni ridestato da un bellissimo sogno.


CONCLUSIONI

Ci riuniamo di nuovo da Joe’s per questa nostra ultima cena namibiana dove con tanta felicità ed un po’ di nostalgia tiriamo le conclusioni.
Adesso ci resta solo un aereo con destinazione Italia. Questa è solo la conclusione di questo viaggio, perché la prossima meta è già in programma e quello sussurrato all’Africa è solo un arrivederci alla prossima volta.

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